28 settembre 2016

Nuovi arrivi

Lo scorso aprile preannunciavo una sorpresa e, ormai a cose ben fatte, eccola: la famiglia si è allargata, con l'arrivo della piccola Pollon. Questa volta ho voluto a tutti i costi un parto tra le mura di casa, sia perché era un mio sogno da ben prima di sposare Apollo, sia perché non avevo la benché minima intenzione di ripetere l'esperienza ospedaliera di Apelle.
Credo che gli ospedali ragionino bene quando si tratta di patologia ed emergenza, mentre in caso di salute non sanno bene come comportarsi - ne è la prova l'episodio della placenta di Apelle. Dopo il parto, ero sul lettino a coccolare la mia creatura, con ginecologa-tutta-bardata-per-ricucirmi, ostetrica nevrotica e chissà chi altro (ero giusto un po' distratta in quel momento) a guardarmi l'origine du monde in attesa che la placenta uscisse. Al corso preparto mi avevano spiegato che questa potrebbe impiegare fino a due ore per staccarsi ed essere espulsa, prima di prendere provvedimenti: in ospedale la ginecologa era di tutt'altra opinione, visto che dopo un'ora mi ha minacciata "o la fa uscire nei prossimi 5 minuti o la portiamo in sala operatoria" (per un intervento in anestesia totale). Ringrazierò sempre l'ostetrica privata che avevo voluto con me, che mi ha fatta alzare e...ta-daaaaà, la placenta è uscita da sola, risparmiandomi un intervento invasivo e assolutamente inutile.

Quattro anni fa, sono stata accolta in sala parto da un'ostetrica che ha alzato gli occhi al cielo,  messo il broncio sbuffando e strascicato i piedi; le "mie" Elene sono arrivate con il sorriso sulle labbra e con l'entusiasmo di due ragazze che si preparano per una festa.
In ospedale sono stata sottoposta a numerose visite, che mi creavano gran disagio e aumentavano il già forte dolore; Elena mi ha visitata chiedendomi permesso, con una gran dolcezza e soprattutto gran rispetto.
L'ostetrica dell'ospedale mi ha rotto le scatole tutto il tempo, dicendomi cosa fare e lamentandosi che non sapevo spingere (grazie); le Elene mi hanno assistita nel vero senso della parola, incoraggiandomi quando pensavo di non riuscire a farcela e stando a osservare, senza intervenire ma pronte a farlo se ce ne fosse stato il bisogno.
In ospedale il dopo parto è stato uno stress continuo, dall'iniezione di ossitocina "perché sì", al nervosismo del personale perché la placenta non usciva, alle accuse di essere niueig. A casa sono rimasta in ammollo nella vasca a coccolarmi la bimba finché non ho chiesto io di uscire; mi sono alzata da sola, non perché le Elene non mi hanno aiutata ma perché non ne ho avuto bisogno (in ospedale non riuscivo nemmeno a stare in piedi); prima di cominciare ad aiutare la placenta a uscire, le Elene hanno aspettato quasi un'ora, e poi l'hanno fatto con gran tranquillità, "come se stessero prendendo un caffè " come ha detto Apollo; allo scadere delle due ore io già mi vedevo sulla strada dell'ospedale, e invece con gran calma le Elene hanno aiutato la placenta a uscire.
In ospedale mi hanno mandata in stanza sporca, di sangue mio e di cacca di Apelle; a casa ho fatto una doccia, anche se non ce n'era proprio bisogno.
In ospedale mi è toccato il rancio da post-operazione, il cosiddetto menù leggero; a casa ho fatto colazione con il mio yogurt preferito e pranzato con melone e mozzarella, perché ne avevo voglia.
In ospedale mi pareva di essere in quarantena, con visite a orari prefissati e tutto il resto del tempo a morire di solitudine; a casa ho avuto Apollo e Apelle sempre con me, e le Elene a giorni alterni che mi hanno aiutata più che le colleghe dell'ospedale in reparto, presenti 24 ore su 24.
Dopo la nascita di Apelle, ho impiegato ben più che la quarantena a riprendermi, mentre con Pollon già il giorno stesso ero a far su e giù dalle scale, vispa come un grillo.
Apelle ha avuto le colichette, per pochi giorni ma ci sono state; Pollon ha pianto per la prima volta che aveva dieci giorni, per la fame.

Per questa nostra scelta siamo stati definiti coraggiosi: io non mi sento coraggiosa, perché il coraggio lo si mostra di fronte a ciò che spaventa o che mette in difficoltà, ma per me il parto in casa non è stato né pauroso né difficile (il parto in sé lo è stato, ma non sarebbe stato diverso in ospedale). Certo, un po' di preoccupazione c'era, ma se così non fosse stato, saremmo stati incoscienti. L'unico grosso cruccio è stata la spesa, interamente a nostro carico visto che in Veneto non è ancora previsto un rimborso nemmeno parziale, come invece accade in alcune altre regioni. Ma ne è valsa la pena e sono contentissima che, di fronte a un mio ripensamento proprio per questo motivo, Apollo abbia invece insistito a proseguire sulla strada del parto casalingo.

Ho scelto di affidarmi a Elena di Mamastè perché le volte in cui ho avuto occasione di scambiare due parole con lei mi è sembrata solare, dolce e positiva: impressione confermata quando ci siamo conosciute davvero nel corso del primo incontro, per parlare del parto in casa, e poi dei mesi successivi. Tra le due colleghe disponibili, mi è piaciuta tanto Elena Bis, dolce, paziente, tranquilla. Sono state un riferimento sempre costante e presente, disponibili a placare le mie ansie e a rassicurarmi. Con la loro dolcezza e soprattutto nel loro non-intervento durante il parto hanno lenito una ferita che mi porto ancora dentro, dalla nascita di Apelle: mi hanno lasciata libera di far nascere Pollon con i miei tempi, dandomi fiducia e competenza; hanno permesso che fossi io a gestire il parto vero e proprio, stando a osservare senza intervenire, se non per svolgere il cordone che era arrotolato intorno alla pancia della pupa, dopo che era nata.

Questo racconto parte dalle conclusioni, e si conclude con l'inizio di questa nuova avventura.
Tutto è cominciato poco dopo le due di notte del 14 di agosto, quando mi si sono rotte le acque: non è stato come nei film, con una cascata del Niagara tra le gambe; ero a letto, ancora mezza sveglia, quando sento un fiotto bagnare l'assorbente. Vado in bagno a controllare, faccio la prova del colpo di tosse e ho la conferma che era iniziato lo spettacolo.
Chiamo Elena, che mi dice di provare a riposare e di richiamarla se fossero iniziate le contrazioni. Bella lì, capire se queste benedette contrazioni ci fossero o no: con Apelle l'ho capito subito, erano inequivocabili, mentre questa volta sembrava più una tensione che un crampo. Dopo un'ora ho iniziato ad avere un po' di male, così chiamo Elena che cerca di capire se effettivamente quello che sentivo erano contrazioni o no. Ci accordiamo per sentirci dopo una mezz'ora.
Nel frattempo mi piazzo sul tappeto, a carponi, unica posizione in cui riesco a stare quando partono quelle che ora sono sicura essere contrazioni.
Allo scadere del tempo concordato, risento Elena, che con Elena Bis era in partenza.
Riesco ad accendere il portatile, con la mia playlist di spotify creata per l'occasione  (tempo di ascoltare cinque canzoni e winzozz si pianta in modo inaspettato e mai successo, né prima né dopo, odio puro), e mi do al canto selvaggio. Ricordo di aver cantat...ops, urlato su Criyng, Losing my religion, Too much love will kill you, Nothing else matters.
Dopo un'altra mezz'ora, so due cose: 1, le Elene sono ormai arrivate a destinazione  (e così è stato) e 2, entro un'ora avrei avuto Pollon tra le braccia (idem). (Tanta sicurezza sulla durata del travaglio era dovuta alla precedente esperienza con Apelle, nato in 3 ore spaccate).
Come detto, le Elene sono entrate in un turbine di entusiasmo, con i loro borsoni di Mary Poppins e sorrisi che sprizzavano cuoricini. Elena mi ha visitata, ero ormai a 7 cm; Elena Bis si è messa subito ad aiutare Apollo con la vasca da parto e non ha voluto darmi retta ("non c'è tempo per riempirla, lasciate stare", ho detto; e lei "no, volevi partorire in acqua e così farai") - per fortuna, perché anche se la vasca non era proprio piena, entrare nell'acqua calda mi ha aiutata parecchio.
Ho avuto qualche momento di scoraggiamento, le contrazioni erano fortissime e ravvicinate, tanto che non riuscivo a prendere fiato tra l'una e l'altra, invocando una fase di transizione (oh, quanto ne avrei voluta una!!) e implorando per un po' di endorfine, che purtroppo questa volta non ho minimamente sentito.
Appena la vasca è stata riempita quel tanto che bastava a coprirmi le gambe da seduta, sono entrata, piazzandomi con la schiena sotto la canna dell'acqua calda. Dopo un po' mi sono messa in ginocchio, abbracciata al bordo della vasca (quanto le ho voluto bene, a quella vasca!), e urlando con tutto il fiato che avevo. Povero Apelle, l'ho svegliato con le mie urla...e Apollo ha fatto il papà, salendo a consolarlo e perdendosi la nascita di Pollon.
Ho cominciato a spingere; mi sembrava di sentire la testa in dirittura d'arrivo, così tasto ma non sento niente. Mi arrabbio e alla contrazione successiva ci do dentro di cattiveria: ecco la testa che si avvicina, poi si affaccia, esce, e con un'ultima spinta ho Pollon in mano. La vedo galleggiare nell'acqua, con un secondo di smarrimento (e adesso? Ah, sì, la devo prendere) che forse era più stupore per avercela fatta da sola, come se sapessi esattamente cosa fare, come farlo e quando.
In quel momento, spunta il primo raggio di sole: sono appena passate le 5, e anche stavolta ho mantenuto il tempo di tre ore.
Elena svolge il cordone che la pupa si era avvolta come una stola, tra spalla e pancia; io mi coccolo la pupa, aspettando che gli ometti scendano a fare conoscenza con lei. Apelle era un po' stravolto, poverino, e tutto aggrappato al papà.

Purtroppo non ho finito di soffrire: appena il tempo di prendere fiato e cominciano i morsi uterini, che con Apelle non avevo nemmeno sentito. Ahia. Altre due ore di sofferenza.
Poi doccia, colazione e, salutate le cicogne, nel lettone insieme a Pollon e al papà, raggiunti dopo un paio d'ore da Apelle, ancora smarrito ma curioso della sorellina.
Un paio di giorni dopo, piantiamo la placenta sotto un nocciolo, in giardino.
Le Elene vengono a visitarmi a giorni alterni, per controllare come sto e come sta la pupa. Parenti e amici sono molto discreti, forse troppo, ma va bene così.

Ormai è passato più di un mese e mezzo, il tempo è volato. Le Elene sono tornate un'ultima volta per la visita della quarantena, durante la quale hanno fatto il rito di chiusura messicano con il rebozo, una fascia tipica di quelle parti: come durante il parto il corpo si apre al massimo, così dopo 40 giorni lo si richiude, per farlo concentrare sulla nuova vita venuta al mondo e sulla "nuova" famiglia, e per prepararlo ad accogliere, un domani, un'altra vita. (Io no, grazie, un altro parto lampo non lo reggerei. E dubito di trovare un anestesista disponibile a parcheggiarsi in camera da letto in attesa del travaglio)

La scelta del parto in casa è sicuramente dipesa da un mio grande desiderio e dalla voglia di rivalsa sull'esperienza ospedaliera,  ma anche tenendo in considerazione la nostra famiglia: andare in ospedale avrebbe significato una netta separazione tra me, Apollo e il piccolo Apelle, che nella migliore delle ipotesi sarebbe stato portato dai nonni per mezza giornata, anzi, nottata, e nella peggiore sarebbe rimasto senza di me per qualche giorno, vivendo così l'arrivo della sorellina come un trauma.
A cose fatte,  oltre a questo aggiungo la grande tranquillità che ne è conseguita: io non ho avuto quegli sbalzi di umore noti come baby blues, se non in rare occasioni, e mi sono goduta la mia famiglia fin da subito, senza strappi;  Pollon è pacifica, non piange mai, forse perché, come dice mia zia, è nata senza stress.
Nascere in casa si può, in tutta sicurezza, e fa anche tanto bene :)

8 aprile 2016

Oltre al danno, la beffa

Cari Oracolanti, torno su questi lidi dopo quasi un anno dal mio ultimo post, con una bella notizia e uno sfogo. Ora mi sfogo, per la nius vi faccio aspettare :P

Dallo scorso marzo sono senza lavoro - non che possa vantare chissà quale curriculum recente, dato che avevo iniziato a luglio con un contratto a tempo determinato.
Visto che ora mi trovo a essere ufficialmente disoccupata e che le prospettive di trovare un nuovo impiego non sono rosee, ho deciso di avvalermi di un diritto che, nelle occasioni passate, non avevo mai richiesto: l'esenzione del ticket.

Stamattina mi metto al pc e cerco quale siano i requisiti e la procedura per la richiesta nella mia Ulss: serve un'autodichiarazione sullo stato di disoccupazione, che l'ufficio amministrativo confronta con il Centro per l'Impiego (ovviamente bisogna essere iscritti, cosa fondamentale per chiedere la disoccupazione).

Evviva, è facilissimo!

Come no.

Come requisito accessorio e fondamentale, viene richiesto un reddito familiare complessivo non superiore a 12mila euro (circa, compreso il figlio a carico), reddito percepito nell'anno precedente la richiesta.

Ora. Se questa non è una presa per il culo io sono la Regina Elisabetta.
Io sono disoccupata. Apollo è disoccupato pure lui da inizio anno. Apelle per ovvi motivi non può lavorare. Al momento siamo ancora in attesa della conferma della disoccupazione, il che vuol dire che non abbiamo entrate. Il che vuol dire che se ho necessità di farmi un esame del sangue, quei caxxo di 40 euro che devo pagare mi pesano parecchio.

E vorrei capire perché se l'anno scorso ho lavorato, adesso che sono nella cacca non ho diritto a niente. Sono senza soldi adesso.
Cosa devo fare? Augurarmi di restare senza lavoro, sia io che Apollo, per tutto l'anno e pure l'anno prossimo? Perché solo in questo caso avremmo diritto all'esenzione.

E poi si stupiscono che la gente emigra.

6 maggio 2015

Ritorno al passato

A 10 anni dalla (prima) laurea e dopo 4 e mezzo dalla seconda, sono tornata in

terracqua veneziana. Era da un po' che mi frullava per la testa, come se sentissi il bisogno di fare i conti con quella parte di me che ho lasciato indietro, a costo di provocare un terremoto emotivo nel rimettere piede nel luogo in cui, forse per la prima e unica volta nella mia vita, sono stata veramente Io.
Svevo già provato a programmare l'incursione un paio di settimane fa, ma il prof con cui volevo parlare non poteva. Stavolta invece non ho avvisato nessuno (ça va sans dire, il prof di cui sopra nemmeno c'era).
Porto il pupo dalla nonna, recupero la micromacchina dai miei in previsione di un parcheggio zeppo, e mi dirigo alla stazione. Già i biglietti sono diversi da quelli di 5 anni fa, stampati con le macchinette del lotto, e da qui in poi è stata tutta una sorpresa.
Oddyo, il freddo artico del treno me lo ricordavo bene.
Scambio di messaggi con la cugina veneziana (una volta ero io, sigh), ci troviamo per un caffè? Vieni a San Luca. E dove cavolo è San Luca? Io che conoscevo Venezia a menadito, doppio sigh.
Arrivo a Santa Lucia, ma mi par di essere finita alla Nave de Vero, tutta un negozio fighetto dietro l'altro. Addio biglietteria col mosaico (ehi, dov'è finito il mosaico??), addio bar all'ingresso. Ora trovi un pianoforte, ne sentivamo proprio il bisogno.
Una volta sul ponte degli Scazzi c'erano abbulanti che vendevano i gattini a molla, o quelle cose modellabili colorate; ora ci sono i pakistani che ti fanno lo sgambetto col manico telescopico per i selfie. Ma andatevene tutti a farvi un tuffo nel canale!
Tonolo c'è, per fortuna, anche se non ho avuto il coraggio di rischiare la delusione di un bignè non all'altezza dei miei ricordi. C'è anche il barcarolo che vende la frutta, sempre allo stesso posto, dietro San Barnaba.
Sono passata al mio vecchio collegio, tutte le suore sono cambiate, è andata via anche Caterina che lavorava in amministrazione.
L'Accademia vecchia è stata un trauma: vedere il soffitto della mia aula di pittura con faretti moderni al posto degli sgangherati neon, per non parlare di quello che era il passaggio dal cortile di ingresso a quello Palladiano, tra le macchinette del caffè e le toilette, che ora è chiuso da una vetrata sciccosissima.
E Gino Panino? Dove sono finiti i tavolini di alluminio da 4 soldi? Perché c'è il gelato artigianale? E cosa sarebbe questa storia della divisa in bianco e nero? E i tavolini di marmo noooo!!
Poi arrivo agli Incurabili, dalle calli verso l'entrata posteriore, e vengo accolta da quel profumo inconfondibile di trementina, olio di lino e solvente.
Entro dall'ingresso principale e non solo trovo il vecchio portinaio, ma pure si ricordava di me ed è stato felicissimo di vedermi! Mi son commossa.
Gli studenti sono sempre uguali, e anche i corridoi sono il solito labirinto di tele e cavalletti.
Entro nell'aula di pittura, sento da lontano la voce del Capo, ma intuisco che è occupato. Una ragazza sta facendo fare un giro a degli amici, credo, e dice "di qua non possiamo entrare, c'è quello cattivo". Certe cose non cambiano mai.
Salgo in cerca del prof di anatomia, che dopo un bel po' di attesa scopro non essere in sede, amen.
Torno in aula di pittura, il Capo si è spostato e mi arrischio a metter dentro la testa. Mi saluta e mi fa pure accomodare, nonostante fosse a colloquio con tre studenti. Mi propone di riscrivere lo statuto, mi stava per scappare la battutaccia ma mi sono trattenuta...poi mi definisce "brava a disegnare, più restia a dipingere". Caspita, dirle prima 'ste cose no, eh? Tipo 12-14 anni fa?
Che strano, ritrovarmi timida e spaurita come alle revisioni del primo anno. Io che alla fine gli tenevo pure testa nelle discussioni.
È stato un incontro imbarazzato e breve, troppo breve. Mi sono un po' pentita di non essere rimasta, di non aver aspettato un secondo incontro.
Me ne sono andata con una gran malinconia, dopo aver salutato le modelle di pittura che pure si ricordavano ancora di me.
Lo schiaffo di emozioni che mi aspettavo non è arrivato. È stata una gita strana, ero io eppure non ero io. E sì, non ci si bagna due volte nello stesso fiume e blablabla.
A parlare col Capo mi son sentita un po' banale, sposata, faccio la mamma...quando in Acca ero combattiva e piena di sogni. Ci ho messo l'anima in tutto, non solo nello studio, ma anche come rappresentante degli studenti. Sono stati anni importanti, la prima Consulta, l'autonomia, la specialistica e il triennio. Ho partecipato a riunioni, collaborato a scrivere lo statuto, contribuito alle basi di quella che è oggi l'Accademia. Se la chiamo la "mia" scuola, è perché l'ho proprio fatta.
Dopo la laurea, non ho trovato altro per cui sentissi di poter combattere altrettanto, in cui mettermi anima e corpo, per cui provare la stessa passione.  L'ho voluta con tutte le mie forze. Con grande difficoltà sono riuscita ad emergere del mio blob personale e diventare me stessa. Per poi perdermi di nuovo appena varcato il portone.
Speravo di ritrovarmi, o di trovare almeno un pezzettino di quella che ero. Brillante, determinata, stimata.
Non è che non sono contenta di dove sono adesso, anzi, non rinuncerei per niente al mondo ad Apollo e Apelle. Ma mi manca qualcosa. Mi manco io.
Mi manca quella che avrebbe detto al Capo "questi studenti sono come eravamo noi, spaventati da lei perché non si sa mai se diciamo una parola di troppo o una in meno, se usiamo il termine corretto, se la nostra idea funziona o se la manderà su tutte le furie. E dopo aver passato anni col terrore di un confronto, ti ritrovi a sentirti rivolgere una verità che avresti pagato oro per conoscere allora. E capisci che è solo una facciata, e che la paura ci toglie la possibilità di crescere. A meno che non la vinciamo, come ho fatto io. Anche questa è una prova, e se ho iniziato pensando di dirle che sta sbagliando, ora che sono arrivata qua capisco che sta facendo bene. Per questo lei è il Capo". E avrei accettato quella sigaretta, puntualmente offerta e puntualmente rifiutata, solo per vedere che faccia avrebbe fatto.

Sono tornata a casa dopo un giro e quattro chiacchiere con la cugina veneziana. Nel portafoglio 10,40 euro di meno, un biglietto di andata e ritorno in un posto che mi sembra lontano anni luce ma che ad andarci scopro essere dietro l'angolo. Forse anche io sono lì, dietro l'angolo, tra gli oleandri e il profumo di trementina, ma ancora non lo so.

19 ottobre 2014

Cose tristi

Sono ancora viva, ma se scrivo dopo tanto tempo è perché qualcuno non lo è più. Scrivo qui, piuttosto che su facebook, come hanno fatto in tanti, perché era un lettore abituale dell'Antro nonché pungente commentatore.
Cotton se n'è andato la notte di giovedì scorso, da solo, come se già andarsene per sempre non sia abbastanza doloroso. Aveva poco più di 40 anni.
Io l'ho conosciuto sulle pagine di Wikipedia, in occasione di un lavoro stressante e massiccio di correzione e riscrittura di voci di opere d'arte, tutte con il titolo errato e in evidentissima violazione di copyright. Di quella volta ricordo la sua pacatezza, che talvolta andava a smorzare la mia incavolatura.
Ho avuto modo di conoscerlo dal vivo, in occasione di Festambiente a Vicenza, quando Wikimedia aveva uno stand, e in quelle due giornate trascorse alla facoltà di Economia a Venezia, per parlare del progetto.
I ricordi della real life sono offuscati, restano a galla la sua risata gioviale e le sue sigarette mefitiche.
Ho ricevuto la notizia venerdì,  da Demart, in un modo così assurdo che non sono riuscita a rendermi conto della cosa fino a oggi, quasi, nonostante le telefonate di altri amici wikipediani a conferma che quella chat surreale diceva il vero. Surreale perché il messenger di FB per cellu ha uno strano modo di mostrare i messaggi e l'ultimo che mi aveva lasciato Demart, qualche settimana fa, era "sto ancora ridendo". E di seguito "hai saputo?". No, cosa? "Cotton è morto". Ecco, grazie cari sviluppatori dell'app, per aver contribuito involontariamente a un dialogo degno di Ionesco.
Solo oggi, leggendo i messaggi al Bar wikipediano e nella talk di Cotton, comincio a rendermi conto che è vero. E sono triste e arrabbiata, come credo lo siamo tutti.
Nell'ultimo periodo wikipediano non mi trovavo più d'accordo con lui come una volta, tendevo anzi a evitare le discussioni con lui,  per non parlare di qualche commento qui nell'Antro che mi aveva fatto girare le scatole. Ma restava comunque la stima per una persona impegnata e appassionata, che ha dedicato tempo e fatiche a un progetto che ancora porta la sua impronta e, mi auguro, sempre la porterà.
Sono ancora combattuta all'idea di andare a funerale, domani. Un po' perché avrei qualche remora a lasciare Apelle per il secondo pomeriggio di seguito ai nonni, ma soprattutto perché vorrei ricordare Cotton vivo, ricordare le risate e non le lacrime. Vorrei ritrovare i miei amici, che non vedo da tanto tempo, per un motivo più allegro, perché trovarsi ai funerali lo fanno i vecchi. E con loro vorrei ridere e parlare di cose belle. Sarebbe bello fossero così, i funerali, un po'come in America, con gli amici e i parenti del defunto che parlano e si consolano e magari scherzano e ricordano le cose belle. La messa, i canti,  i riti...li trovo così tristi e vuoti.
Non andrò,  domani, ma per Cotton lavorerò un po ' a Wikipedia, come quando lo facevamo in squadra, da patroller e admin.
Arrivederci, Cotton, e grazie di tutto il pesce.

22 aprile 2014

Telegramma

Sono viva - stop - Apelle cresce bene - stop - Il corso di Web Designer & Developer sta volgendo al termine e promette grandi soddisfazioni - stop - Sito nuovo in costruzione - stop - Salumi&Baci a tutti gli oracolanti - stop stop.

19 febbraio 2014

A volte ritornano

Ogni tanto torno ad aggiornare queste pagine - l'ultima volta è stato pure un mezzo scherzo (mi è anche andata male, speravo di ricevere davvero la lana, ma niente). Già normalmente il tempo a mia disposizione è minimo, ma ultimamente si è dimezzato e, come se non bastasse, Apelle ha mire di diventare il più giovane hacker della storia.
Da un mese ho iniziato un corso di web design, finanziato dalla provincia (quindi mi pagano pure per farlo), che mi piace tantissimo ma che mi impegna tutti i pomeriggi - praticamente vado via dopo pranzo e arrivo per ora di cena. Di conseguenza quando sono a casa non faccio altro che caricare lavatrici e asciugatrici, e cucinare, giocando con Apelle nel frattempo. La sera è uguale a divano+tv, per la serie "spegniamo il cervello per un po'".
Ogni tanto riesco a leggere e, molto raramente, mi metto al pc. Ringrazio il cielo (e mamma e suocera :-P ) che non devo stirare, ci mancherebbe solo quello. Non mi sto lamentando, anzi sono molto contenta di questa scelta. Per fortuna ho trovato appoggio in famiglia, perché senza le nonne non potrei frequentare le lezioni. Mi dispiace solo non avere tempo di fare esercizio a casa, fosse anche solo navigare alla ricerca di siti interessanti. Il colmo è che a scuola non abbiamo la connessione -.-'' quindi non posso nemmeno approfittare delle pause (e il mio contratto telefonico non permette di usare lo smarsfon come modem per un pc).

Prima o poi arriverò a farmi un sito tutto mio, non mancherò di mettere un link. Conoscendomi, temo sarà nel post successivo a questo.
Au revoir!

18 novembre 2013

Mai dire Maibosci

Interrompo la mia latitanza per rendervi partecipi di una sorpresa che ho da poco ricevuto: seguo un blog da diverso tempo, anche se non mi ricordo né come l'ho trovato né perché, in fondo, continuo a seguirlo. La titolare è simpatica, ma forse mi colpiscono maggiormente le sue sfighe, che affronta con un discreto savoire-faire e che per un banale ma comunque efficace "mal comune mezzo gaudio" riesce sempre a farmi sorridere.

Ora, questa persona davvero ammodo nei giorni scorsi si è trovata imparpigliata nella realizzazione di un berrettino, di quelli che vanno tanto di moda e che la sottoscritta già faceva da eoni: il mio occhio clinico e la mia innata gentilezza mi hanno portata a suggerirle come migliorare il suo lavoro e lei, per ringraziarmi, ha spontaneamente scelto di destinare alla sottoscritta un kit omaggio per realizzare i suddetti cappellini.

Non potevo non esimermi dal ringraziarla pubblicamente: trovate tutta la storia qui, mi raccomando leggete fino in fondo.

A presto (spero)