26 ottobre 2008

Vorrei tanto sapere perché certa gente davanti al dolore fa come gli struzzi. Come se parlare volesse dire riportare questo dolore alla realtà, come se non parlarne lo cancellasse per sempre. E invece il silenzio è ancora peggio: per il solito io so che tu sai che io so ecc ecc.
Ci sono cose che non si possono cancellare, che non possono e non devono essere dimenticate.
Ricordare non vuol dire guardare al passato, essere ossessionati da un evento che non è più: ricordare per me è riconoscere che qualcosa è stato, che le conseguenze si sentono ancora oggi e resteranno per sempre. Ricordare vuol dire prendere coscienza di ciò che costituisce comunque un pezzo della mia storia, pur guardando avanti, cercando di far sì che questo dolore abbia un senso. Ma questo senso non si trova nel silenzio, nel voltare lo sguardo da un'altra parte.
Non pretendo discorsi da guru, scene da prefica, rivelazioni sul senso della vita: mi sarebbe bastato un cenno, per sapere che non è stato dimenticato, che forse non si sa cosa dire, perché certe volte le parole sembrano così inadeguate. Ma questo vuoto è più mostruoso di una parola che porti a galla un dolore forse non del tutto sopito. Perché si sente che c'è qualcosa di non detto, perché so che è impossibile dimenticare e che loro sanno. Un'assenza che si fa presenza pesante, che si trasforma in solitudine, isolamento dagli altri.
Sì, mi sento sola in questo dolore che c'è, ancora ancora e ancora.
Non basta un anno a cancellarlo. Non basterà una vita: e spero tanto che come oggi sento lacrime di tristezza bloccarmi la gola, un giorno queste saranno di gioia.

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