Non è ancora arrivato il caldo, ma certi usi seguono più il calendario che il buonsenso: in treno, già da un po', è attiva l'aria condizionata. A dirla tutta, in alcuni treni, quelli super-tecnologici chiamati VivAlto (no comment), c'è sempre: gli schermi che in ogni carrozza espongono tabella di marcia, velocità, ritardo e temperatura esterna e interna, nei mesi invernali proclamavano gloriosamente che in treno si era a 23 gradi. Di aria fredda. Di quegli spifferi che cadono giusti sul collo, e non c'è sciarpa che tenga! Con sommo gaudio il mio cuore sobbalzava all'arrivo dei vecchi treni regionali, quelli che girano da tempo immemore, con le carrozze a doppio livello e i sedili verdi ormai marroni dall'uso quotidiano: questi vetusti scompartimenti accolgono il viaggiatore con un tepore da mar tropicale ed è un piacere abbandonarsi al sonno, cullato dal dondolio del vagone.
Ho viaggiato spesso nella stagione più calda, ma i finestrini abbassati e l'aria a 100 all'ora non mi hanno mai fatto desiderare un impianto di condizionamento: è pur vero che oggi i finestrini dei treni sono praticamente sigillati, due spiragli in testa e in coda al vagone, chiusi a doppia mandata. Tanto c'è l'aria condizionata. Il flagello dell'incauto viaggiatore, che a luglio deve portarsi dietro il maglioncino di lana se non vuole buscarsi una malora. Il trucco è cercar posto negli scompartimenti superiori, dove la fisica insegna salga l'aria calda: il piano inferiore è riservato ai pinguini, unici a tollerare le temperature artiche che imperversano da aprile a ottobre.
Poco contano gli appelli al risparmio energetico, il buon senso è giace da tempo dimenticato all'ufficio oggetti smarriti. Fuori la canicola, 30° minimo se va bene; dentro, 19° e correnti che ricordano la Bora.
Orazio predicava l'aurea mediocritas: oggi che non esistono più le mezze stagioni, tanto meno resistono le mezze misure.
100 anni di radio
1 mese fa
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