Nei tempi che furono, a fare la spola tra un capo e l'altro dei treni, c'erano i sordomuti: con molta discrezione, lasciavano qualche calendario da portafoglio che recava sul retro il L.I.S. Con il tempo, si sono evoluti con dei gadget simpatici, come i portachiavi di peluche (ne acquistai uno carinissimo che ho ancora), poi divenuti cosi improponibili di plastica riempita di liquido colorato con animaletti galleggianti. Si richiedeva un'offerta minima, ma almeno avevi qualcosa in cambio.
Poi la mia amica Manù, sordomuta, mi ha illuminata sul fatto che era assai improbabile che questo mercanteggiare fosse 1. l'unico sostentamento di quelle persone e 2. che fossero realmente autorizzati da qualche vera associazione di sordomuti.
Oggi i simpatici portachiavi kitsch sono stati sostituiti da tristissimi bigliettini fotocopiati: e non sono più (presunti) sordomuti a lasciarli, ma personaggi inquietanti, di evidente etnia rom. Nelle ultime settimane ho preso spesso il treno e sia all'andata che al ritorno mi vedevo lasciare sul sedile uno di questi bigliettini, da una persona sempre diversa. Peccato che il contenuto del messaggio fosse sempre lo stesso - e pure il carattere di stampa. "Sono povero ho due bambini sono senza lavoro senza casa - blablabla - per amor di Dio" - eh, se non ci metti Dio non ti si fila nessuno.
Ok, purtroppo c'è gente che si ritrova a dover chiedere ad altri il sostentamento: che lo faccia chiedendo la carità è sempre meglio che rubare, su questo non ci piove. E fa star ancora peggio sapere che dietro questi poveracci c'è qualcuno che li sfrutta.
Mercoledì scorso, in facoltà, mentre aspettavo una prof, sono stata avvicinata da un ragazzo Keniota: chiedeva soldi per un fondo per permettere a lui e ad altri suoi connazionali di studiare qui da noi. Altre volte mi era capitato di trovare ragazzi come lui, con la stessa cartolina a mo' di spiegazione: ma lui mi ha parlato, mi ha raccontato qualcosa di sé, mi ha guardata negli occhi, ha chiesto per favore. Nel portafogli avevo 30 centesimi, glieli ho dati tutti col cuore (e mi son sentita comunque un verme perché erano davvero una miseria), ché se ne avessi avuti anche 10, 20 volte tanto glieli avrei dati comunque tutti.
Questo è quello che mi rode: che non c'è nemmeno più l'umiltà di chiedere, se non borbottare qualcosa di incomprensibile nel recuperare quei bigliettini gualciti. Qui non ti muovi a pietà, ti vengono solo i nervi e la tentazione di gridare "va' a lavorare". E son davvero curiosa di vedere cosa succederebbe se arrivasse il controllore...
100 anni di radio
1 mese fa
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