Lo scorso aprile preannunciavo una sorpresa e, ormai a cose ben fatte, eccola: la famiglia si è allargata, con l'arrivo della piccola Pollon. Questa volta ho voluto a tutti i costi un parto tra le mura di casa, sia perché era un mio sogno da ben prima di sposare Apollo, sia perché non avevo la benché minima intenzione di ripetere l'esperienza ospedaliera di Apelle.
Credo che gli ospedali ragionino bene quando si tratta di patologia ed emergenza, mentre in caso di salute non sanno bene come comportarsi - ne è la prova l'episodio della placenta di Apelle. Dopo il parto, ero sul lettino a coccolare la mia creatura, con ginecologa-tutta-bardata-per-ricucirmi, ostetrica nevrotica e chissà chi altro (ero giusto un po' distratta in quel momento) a guardarmi l'origine du monde in attesa che la placenta uscisse. Al corso preparto mi avevano spiegato che questa potrebbe impiegare fino a due ore per staccarsi ed essere espulsa, prima di prendere provvedimenti: in ospedale la ginecologa era di tutt'altra opinione, visto che dopo un'ora mi ha minacciata "o la fa uscire nei prossimi 5 minuti o la portiamo in sala operatoria" (per un intervento in anestesia totale). Ringrazierò sempre l'ostetrica privata che avevo voluto con me, che mi ha fatta alzare e...ta-daaaaà, la placenta è uscita da sola, risparmiandomi un intervento invasivo e assolutamente inutile.
Quattro anni fa, sono stata accolta in sala parto da un'ostetrica che ha alzato gli occhi al cielo, messo il broncio sbuffando e strascicato i piedi; le "mie" Elene sono arrivate con il sorriso sulle labbra e con l'entusiasmo di due ragazze che si preparano per una festa.
In ospedale sono stata sottoposta a numerose visite, che mi creavano gran disagio e aumentavano il già forte dolore; Elena mi ha visitata chiedendomi permesso, con una gran dolcezza e soprattutto gran rispetto.
L'ostetrica dell'ospedale mi ha rotto le scatole tutto il tempo, dicendomi cosa fare e lamentandosi che non sapevo spingere (grazie); le Elene mi hanno assistita nel vero senso della parola, incoraggiandomi quando pensavo di non riuscire a farcela e stando a osservare, senza intervenire ma pronte a farlo se ce ne fosse stato il bisogno.
In ospedale il dopo parto è stato uno stress continuo, dall'iniezione di ossitocina "perché sì", al nervosismo del personale perché la placenta non usciva, alle accuse di essere niueig. A casa sono rimasta in ammollo nella vasca a coccolarmi la bimba finché non ho chiesto io di uscire; mi sono alzata da sola, non perché le Elene non mi hanno aiutata ma perché non ne ho avuto bisogno (in ospedale non riuscivo nemmeno a stare in piedi); prima di cominciare ad aiutare la placenta a uscire, le Elene hanno aspettato quasi un'ora, e poi l'hanno fatto con gran tranquillità, "come se stessero prendendo un caffè " come ha detto Apollo; allo scadere delle due ore io già mi vedevo sulla strada dell'ospedale, e invece con gran calma le Elene hanno aiutato la placenta a uscire.
In ospedale mi hanno mandata in stanza sporca, di sangue mio e di cacca di Apelle; a casa ho fatto una doccia, anche se non ce n'era proprio bisogno.
In ospedale mi è toccato il rancio da post-operazione, il cosiddetto menù leggero; a casa ho fatto colazione con il mio yogurt preferito e pranzato con melone e mozzarella, perché ne avevo voglia.
In ospedale mi pareva di essere in quarantena, con visite a orari prefissati e tutto il resto del tempo a morire di solitudine; a casa ho avuto Apollo e Apelle sempre con me, e le Elene a giorni alterni che mi hanno aiutata più che le colleghe dell'ospedale in reparto, presenti 24 ore su 24.
Dopo la nascita di Apelle, ho impiegato ben più che la quarantena a riprendermi, mentre con Pollon già il giorno stesso ero a far su e giù dalle scale, vispa come un grillo.
Apelle ha avuto le colichette, per pochi giorni ma ci sono state; Pollon ha pianto per la prima volta che aveva dieci giorni, per la fame.
Per questa nostra scelta siamo stati definiti coraggiosi: io non mi sento coraggiosa, perché il coraggio lo si mostra di fronte a ciò che spaventa o che mette in difficoltà, ma per me il parto in casa non è stato né pauroso né difficile (il parto in sé lo è stato, ma non sarebbe stato diverso in ospedale). Certo, un po' di preoccupazione c'era, ma se così non fosse stato, saremmo stati incoscienti. L'unico grosso cruccio è stata la spesa, interamente a nostro carico visto che in Veneto non è ancora previsto un rimborso nemmeno parziale, come invece accade in alcune altre regioni. Ma ne è valsa la pena e sono contentissima che, di fronte a un mio ripensamento proprio per questo motivo, Apollo abbia invece insistito a proseguire sulla strada del parto casalingo.
Ho scelto di affidarmi a Elena di Mamastè perché le volte in cui ho avuto occasione di scambiare due parole con lei mi è sembrata solare, dolce e positiva: impressione confermata quando ci siamo conosciute davvero nel corso del primo incontro, per parlare del parto in casa, e poi dei mesi successivi. Tra le due colleghe disponibili, mi è piaciuta tanto Elena Bis, dolce, paziente, tranquilla. Sono state un riferimento sempre costante e presente, disponibili a placare le mie ansie e a rassicurarmi. Con la loro dolcezza e soprattutto nel loro non-intervento durante il parto hanno lenito una ferita che mi porto ancora dentro, dalla nascita di Apelle: mi hanno lasciata libera di far nascere Pollon con i miei tempi, dandomi fiducia e competenza; hanno permesso che fossi io a gestire il parto vero e proprio, stando a osservare senza intervenire, se non per svolgere il cordone che era arrotolato intorno alla pancia della pupa, dopo che era nata.
Questo racconto parte dalle conclusioni, e si conclude con l'inizio di questa nuova avventura.
Tutto è cominciato poco dopo le due di notte del 14 di agosto, quando mi si sono rotte le acque: non è stato come nei film, con una cascata del Niagara tra le gambe; ero a letto, ancora mezza sveglia, quando sento un fiotto bagnare l'assorbente. Vado in bagno a controllare, faccio la prova del colpo di tosse e ho la conferma che era iniziato lo spettacolo.
Chiamo Elena, che mi dice di provare a riposare e di richiamarla se fossero iniziate le contrazioni. Bella lì, capire se queste benedette contrazioni ci fossero o no: con Apelle l'ho capito subito, erano inequivocabili, mentre questa volta sembrava più una tensione che un crampo. Dopo un'ora ho iniziato ad avere un po' di male, così chiamo Elena che cerca di capire se effettivamente quello che sentivo erano contrazioni o no. Ci accordiamo per sentirci dopo una mezz'ora.
Nel frattempo mi piazzo sul tappeto, a carponi, unica posizione in cui riesco a stare quando partono quelle che ora sono sicura essere contrazioni.
Allo scadere del tempo concordato, risento Elena, che con Elena Bis era in partenza.
Riesco ad accendere il portatile, con la mia playlist di spotify creata per l'occasione (tempo di ascoltare cinque canzoni e winzozz si pianta in modo inaspettato e mai successo, né prima né dopo, odio puro), e mi do al canto selvaggio. Ricordo di aver cantat...ops, urlato su Criyng, Losing my religion, Too much love will kill you, Nothing else matters.
Dopo un'altra mezz'ora, so due cose: 1, le Elene sono ormai arrivate a destinazione (e così è stato) e 2, entro un'ora avrei avuto Pollon tra le braccia (idem). (Tanta sicurezza sulla durata del travaglio era dovuta alla precedente esperienza con Apelle, nato in 3 ore spaccate).
Come detto, le Elene sono entrate in un turbine di entusiasmo, con i loro borsoni di Mary Poppins e sorrisi che sprizzavano cuoricini. Elena mi ha visitata, ero ormai a 7 cm; Elena Bis si è messa subito ad aiutare Apollo con la vasca da parto e non ha voluto darmi retta ("non c'è tempo per riempirla, lasciate stare", ho detto; e lei "no, volevi partorire in acqua e così farai") - per fortuna, perché anche se la vasca non era proprio piena, entrare nell'acqua calda mi ha aiutata parecchio.
Ho avuto qualche momento di scoraggiamento, le contrazioni erano fortissime e ravvicinate, tanto che non riuscivo a prendere fiato tra l'una e l'altra, invocando una fase di transizione (oh, quanto ne avrei voluta una!!) e implorando per un po' di endorfine, che purtroppo questa volta non ho minimamente sentito.
Appena la vasca è stata riempita quel tanto che bastava a coprirmi le gambe da seduta, sono entrata, piazzandomi con la schiena sotto la canna dell'acqua calda. Dopo un po' mi sono messa in ginocchio, abbracciata al bordo della vasca (quanto le ho voluto bene, a quella vasca!), e urlando con tutto il fiato che avevo. Povero Apelle, l'ho svegliato con le mie urla...e Apollo ha fatto il papà, salendo a consolarlo e perdendosi la nascita di Pollon.
Ho cominciato a spingere; mi sembrava di sentire la testa in dirittura d'arrivo, così tasto ma non sento niente. Mi arrabbio e alla contrazione successiva ci do dentro di cattiveria: ecco la testa che si avvicina, poi si affaccia, esce, e con un'ultima spinta ho Pollon in mano. La vedo galleggiare nell'acqua, con un secondo di smarrimento (e adesso? Ah, sì, la devo prendere) che forse era più stupore per avercela fatta da sola, come se sapessi esattamente cosa fare, come farlo e quando.
In quel momento, spunta il primo raggio di sole: sono appena passate le 5, e anche stavolta ho mantenuto il tempo di tre ore.
Elena svolge il cordone che la pupa si era avvolta come una stola, tra spalla e pancia; io mi coccolo la pupa, aspettando che gli ometti scendano a fare conoscenza con lei. Apelle era un po' stravolto, poverino, e tutto aggrappato al papà.
Purtroppo non ho finito di soffrire: appena il tempo di prendere fiato e cominciano i morsi uterini, che con Apelle non avevo nemmeno sentito. Ahia. Altre due ore di sofferenza.
Poi doccia, colazione e, salutate le cicogne, nel lettone insieme a Pollon e al papà, raggiunti dopo un paio d'ore da Apelle, ancora smarrito ma curioso della sorellina.
Un paio di giorni dopo, piantiamo la placenta sotto un nocciolo, in giardino.
Le Elene vengono a visitarmi a giorni alterni, per controllare come sto e come sta la pupa. Parenti e amici sono molto discreti, forse troppo, ma va bene così.
Ormai è passato più di un mese e mezzo, il tempo è volato. Le Elene sono tornate un'ultima volta per la visita della quarantena, durante la quale hanno fatto il rito di chiusura messicano con il rebozo, una fascia tipica di quelle parti: come durante il parto il corpo si apre al massimo, così dopo 40 giorni lo si richiude, per farlo concentrare sulla nuova vita venuta al mondo e sulla "nuova" famiglia, e per prepararlo ad accogliere, un domani, un'altra vita. (Io no, grazie, un altro parto lampo non lo reggerei. E dubito di trovare un anestesista disponibile a parcheggiarsi in camera da letto in attesa del travaglio)
La scelta del parto in casa è sicuramente dipesa da un mio grande desiderio e dalla voglia di rivalsa sull'esperienza ospedaliera, ma anche tenendo in considerazione la nostra famiglia: andare in ospedale avrebbe significato una netta separazione tra me, Apollo e il piccolo Apelle, che nella migliore delle ipotesi sarebbe stato portato dai nonni per mezza giornata, anzi, nottata, e nella peggiore sarebbe rimasto senza di me per qualche giorno, vivendo così l'arrivo della sorellina come un trauma.
A cose fatte, oltre a questo aggiungo la grande tranquillità che ne è conseguita: io non ho avuto quegli sbalzi di umore noti come baby blues, se non in rare occasioni, e mi sono goduta la mia famiglia fin da subito, senza strappi; Pollon è pacifica, non piange mai, forse perché, come dice mia zia, è nata senza stress.
Nascere in casa si può, in tutta sicurezza, e fa anche tanto bene :)