23 ottobre 2009

Sorelle d'Italia

Ormai lo spot della nota marca di calze ha smesso di provocare polemiche: la prima volta che l'ho visto mi ha quasi commossa. Non l'ho trovato affatto osceno, una mancanza di rispetto verso il nostro inno nazionale: mi è sembrato vergognoso piuttosto che a rendere omaggio alle donne italiane in un modo delicato come questo sia stata un'industria, non lo Stato.
Poi ho letto un'intervista al capo di codesta industria: tante belle parole, è grato alle donne, il suo principale cliente nonché fonte di reddito. Ipocrisia? Forse. Ma ancor più ipocrita lo è sembrato a me, che per breve tempo ho lavorato per un negozio del marchio. E' tanto facile parlar bene delle clienti, ma nei riguardi delle proprie dipendenti com'è la faccenda?
Questa è la mia esperienza, e non credo affatto sia un caso isolato.
Per "contratto" la commessa deve indossare gonne di una lunghezza tale da poter mostrare le gambe, che indossano calze del negozio: calze che devono essere acquistate dalla commessa, che gode di uno sconto misero. Vuoi che indossi le tue calze per farne pubblicità? Me le regali.
E se un giorno osi presentarti in pantaloni, per distrazione o per un qualsiasi altro motivo, sono rogne.
L'imperativo della commessa è "vendere!": ognuna ha un codice che attribuisce a ciascuna lo scontrino eseguito. Più fai acquistare, più vieni tenuta in considerazione. Io ho avuto la sfiga di beccarmi solo persone che volevano un paio di calze e basta. Confesso che qualche volta, con sadismo, ho acquistato io stessa un unico prodotto, possibilmente il meno caro.
I negozi sono gestiti da una responsabile, che deve riferire a chi controlla una data zona o un certo numero di negozi: è tutta una telefonata con dati di vendite e confronti con la settimana, il mese, l'anno precedente, ma questo credo sia normale. La responsabile di zona talvolta veniva in negozio: sembrava di essere sorvegliate da un SS. L'atmosfera era più tesa, si doveva lavorare al 110%, parlare poco e cercare di essere il più convincenti possibile con i clienti per "fare bella figura". Quella del negozio dove lavoravo era odiosa: severa e bastarda, aveva da ridire se cercavo di fare amicizia con la collega. In un ambiente lavorativo è normale instaurare un buon rapporto con gli altri e se questo non distrae dalle proprie mansioni è anche un bene, perché così si lavora più volentieri e con serenità. Lì invece era visto come un difetto: la SS ha detto alla responsabile del negozio che io e un'altra ragazza dovevamo essere separate perché facevamo comunella. Da notare che in quel momento non c'erano clienti e stavamo piegando calzini.
Io ho sempre cercato di affrontare i lavori che ho svolto con serenità, dando del mio meglio ma trovando anche occasioni di divertimento: una battuta con i colleghi, due chiacchiere con i clienti, qualche scherzo amichevole quando era possibile. Mi è sempre stato detto, in tutta onestà, che il mio lavoro lo svolgevo bene: anch'io ho fatto qualche cappella, capita a tutti, ma sono sempre stata puntuale, rispettosa, ordinata.
L'unica esperienza negativa è stata quella con le calze: dopo appena due settimane di prova, la responsabile mi ha cortesemente mandata a casa - con mia somma gioia, ammetto (e non è il discorso della volpe e l'uva). Probabilmente ha contato la media dei miei scontrini, ma ho qualche dubbio che c'entrasse la collega stronza. Era esaltatissima dal fatto di lavorare in quel negozio, anche perché la titolare le aveva dato molta fiducia per le sue esperienze precedenti. Il suo difetto era che si sentiva la "vice", e, in assenza della titolare, teneva gli occhi aperti per riferirle ogni dettaglio che a suo parere era fuori posto. Ho assistito a una telefonata dove ha sputtanato una collega di un altro negozio, venuta ad aiutarci per un pomeriggio, per dei motivi che non stavano né in cielo né in terra. Una mattina abbiamo avuto un litigio tremendo, perché lei non aveva sentito (o voluto sentire?) una frase che avevo avuto l'accortezza di scandire, per non scatenare la sua ira - che puntualmente si è rovesciata sulla sottoscritta. Potete immaginare nei giorni seguenti come sia andata al lavoro...avrei preferito farmi un turno in miniera, piuttosto che trovarmi a lavorare con quella là.
Sta di fatto che in questi negozi non si respira una bella aria: dopo questa esperienza, sono attenta a particolari che a clienti normali possono sfuggire. Le domande "ti serve questo o quest'altro?", il falso entusiasmo nella vendita, le telefonate, le tabelle dei conti e gli schemi delle esposizioni: tutto è preordinato, e per questo falso. Credo sia così in tutti i negozi delle grandi catene: per questo mi piacciono le botteguccie indipendenti, gestite magari da signore di una certa età che ormai hanno preso gusto nel loro lavoro e che riescono a far tornare i clienti senza bisogno di sconti o offerte speciali.

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