17 febbraio 2010

Zio Giorgione e la zuppa di bottoni

Da piccola, uno dei miei libri preferiti era quello che raccontava la storia della zuppa di bottoni: Paperina va a trovare l'avarissimo zio Paperone, che vive in una fattoria prodiga di verdure, tutte nascoste per non essere spartite con nessuno. Lo zio vorrebbe mandare via a calci la nipote, ma lei lo convince di essere in grado di fare una zuppa con un solo bottone: lo mette in un paiolo enorme pieno d'acqua, accende il fuoco e rimesta. Intanto parla tra sé e sé, come sovrappensiero: quela volta ci ho messo una carota, che bontà! E lo zio corre a riesumare un paio di carote. Certo che una cipolla darebbe quel nonsoché - e lo zio recupera anche quella. E di accenno in accenno, vien fuori una zuppa di verdure che basta a saziare l'intero villaggio.

Oggi sono stata a vedere la mostra su Giorgione, a Castelfranco Veneto: il mio interesse principale era vedere dal vero il fregio della cosiddetta Casa di Giorgione, che ospita l'espozione, dato che parte dell'affresco riproduce tutti gli strumenti dei pittori dell'epoca e per me ha un grande fascino.
Del buon Giorgione, noto come Zorzi, si sa ben poco: che è esistito pare accertato dalla corrispondenza di Isabella d'Este, nota collezionista d'arte del tempo, con il suo emissario a Venezia, e da altre testimonianze. Che fosse pittore lo si sa grazie alle stesse fonti, dato che della sua produzione praticamente nulla è certo al 100%: tanto che il suo catalogo subisce delle variazioni non indifferenti, a seconda dei critici e delle mode. I suoi capolavori si contano sulle dita di due mani, a cominciare dalla stranota Tempesta: seguono la Pala di Castelfranco, I tre filosofi, Le tre età, La vecchia, La Laura, Mosé e i carboni ardenti, Il giudizio di Salomone, Saturno in esilio, nonché qualche ritratto di incerta attribuzione. Anche il citato fregio delle arti lascia qualche dubbio, ma per lo più è considerato autografo.
L'allestimento è molto piacevole: al pianterreno si segue un percorso che introduce al periodo storico in cui ha lavorato l'artista, con un'interessante ricostruzione del fregio, che mette in vetrina gli oggetti dipinti al piano superiore. Al primo piano, una stanza introduce all'ambiente veneziano, con incisioni e disegni di varie epoche riguardanti i lavori perduti dell'artista, in particolare gli affreschi del Fondaco dei Tedeschi: emozionante è stato vedere, purtroppo sotto teca, le prime edizioni delle Vite vasariane e di altre opere che hanno inaugurato la moderna critica d'arte.
Finalmente si arriva al sodo, nella sala del fregio, purtroppo mezzo nascosto dall'allestimento: qui trovano posto sei delle nove opere citate qui sopra, correlate da incisioni di Dürer e altri del suo calibro, che è sempre un piacere vedere, ma che sembrano più un riempitivo. Tutto il resto del piano, e il piano superiore, espongono opere di incerta attribuzione, che oscillano tra Tiziano, Sebastiano del Piombo, Vincenzo Catena; c'è anche un Perugino e una Leda della scuola di Leonardo, tanto per gradire.
Speravo di poter vedere dal vero La vecchia, che si trova al Venezia come La Tempesta, ma che non è stata prestata - vabbè, già vista alle Gallerie n-volte, ma sarebbe stata un gran bel pezzo; ma soprattutto contavo su La Laura e I tre filosofi, custoditi a Vienna, che avrebbero fatto la loro meravogliosa figura. Chissà per quali oscuri intrighi da curatori di museo questi dipinti sono rimasti al loro posto: la mostra perde così parecchi punti, dato che sono tra le opere a mio parere più significative del buon Zorzi.
Ecco perché mi è ventua in mente la storia di Zio PaperoneGiorgione e la zuppa di bottoni: come allestire una mostra che promette mari e monti con un niente.

Se fosse per me, bandirei le audiogiude: tutti intruppati con 'sto telefono davanti al quadro, ascoltando una spiegazione lenta e dettagliata, senza accorgersi che si sta monopolizzando l'opera. Riuscirò mai a entrare in un museo deserto?

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