14 maggio 2008

Musica! Musica!/2

A casa mia non manca mai: papy è un melomane e le radio satellitari sono state la sua più bella scoperta. La presenza della musica è talmente radicata che il non sentirla mi mette a disagio: non me ne rendo conto immediatamente, ma è una sensazione che striscia tra i miei pensieri e resta sospesa nel vuoto, nel silenzio. Quando capisco di che si tratta, il sollievo del “sapere” si trasforma in un'inquietudine quasi fastidiosa, come un sasso nella scarpa, che non sempre è possibile togliere: come quando sono a casa dei nonni, dove l'unico “apparecchio musicale” è il vecchio giradischi e i dischi a disposizione sono le fiabe di Biancaneve o Il lupo e i sette capretti.
La mia cultura musicale è cresciuta per lo più in modo inconsapevole: ascolto passivo, senza una guida e senza tanti fronzoli. Non sono mancati i concerti, fin dalle medie: anziché andare al cinema, mamy e papy ci portavano al Canneti per le serate degli Amici della Musica. Così mi trovavo a riconoscere Dvorak suonato dall'amica che studiava al conservatorio, o a intuire una somiglianza con Britten di un brano presente nel documentario girato da un amico.
Quando capita l'occasione, non dico mai di no a un concerto, soprattutto quando si tratta di musica “nuova”: il mio Apollo è un amante del Jazz e, nonostante io trovi quello contemporaneo un po' difficile, mi piace accompagnarlo nelle sue serate musicali.
Sabato sera è arrivato il momento che aspettavamo da febbraio, il concerto di Giovanni Allevi: timidissimo da far tenerezza, al pianoforte diventa un'altra persona. Non so quanto si possa definire bravo o geniale, certo è che la sua musica mi piace molto.
Durante il concerto, mi sono resa conto di quanto, in realtà, la musica dal vivo mi terrorizzi: la trovo inafferrabile, evanescente, fragile. Un attimo è lì, quello dopo non c'è più. Pensavo fosse il jazz, così imprevedibile e difficile per le mie orecchie abituate a tutt'altro: è stato sconvolgente invece rendermi conto che anche con la musica di Allevi, a me ben nota, provavo lo stesso disorientamento. Le note si inseguono e fuggono in una dimensione che vive di attimi infinitesimali, che la mia mente non riesce a catturare. Quasi con ansia attendo la fine del concerto, perché è l'unico momento certo nella confusione che regna nella mia testa. Quando tutti ne vorrebbero ancora, io sono l'unica a desiderare che finisca: eppure, alla fine, sento di essermi divertita, che è stata comunque un'esperienza positiva, e se capitasse un altro concerto non mi tirerei indietro.

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